Nessuna offerta per salvare la fabbrica: fallisce azienda, più di 80 operai senza lavoro
La Raffineria Metalli Capra è arrivata al capolinea. La conferma arriva dalla sentenza di ieri, con la quale il Tribunale di Brescia ha dichiarato il fallimento della società con sede a Castel Mella, e con una succursale anche a Montirone. Giudice delegato è stata nominata Angelina Baldissera. I curatori sono Davide Felappi, Leandro Di Prata e Stefano Midolo: quest’ultimo era già incaricato come commissario giudiziale dopo che i giudici avevano accolto la domanda in bianco presentata dalla società per l’ammissione al concordato preventivo. Il verdetto è arrivato a poco meno di una settimana dal precedente pronunciamento del Tribunale: il 24 gennaio scorso, sulla base del parere non favorevole espresso dal commissario, aveva dichiarato inammissibile la richiesta di ammissione al concordato. Gli sviluppi addensano altre nubi sul futuro degli 82 dipendenti ancora in carico, tuttora alle prese con la Cassa integrazione straordinaria per crisi. E dire che le cose sembravano essersi messe sul binario giusto: poco prima di Natale, un vertice in Prefettura tra i sindacati, la proprietà e il prefetto, Annunziato Vardè, aveva fatto emergere alcune manifestazioni di interesse per rilevare la Metalli Capra, che però non si sono mai concretizzate in una vera offerta. Così come è saltata la trattativa con la Jordan Steel Work, soprattutto per motivi di carattere ambientale: troppo onerosi i costi per mettere in sicurezza la discarica di Capriano del Colle, contenente migliaia di tonnellate di scorie contaminate da Cesio 137. IL FALLIMENTO della Metalli Capra lascia quindi irrisolto il problema di chi si occuperà di risanare l’area, ma porta con sé anche nubi nere sul futuro degli 82 dipendenti rimasti: erano oltre 120 prima dell’inizio della crisi dell’azienda, cominciata circa quattro anni fa e determinata soprattutto dall’aumento del prezzo del rottame. Da quel momento, le cose sono andate sempre peggio: i dipendenti sono scesi prima a 97, poi ad 87, infine agli attuali 82 e tutti sono passati attraverso contratti di solidarietà e cassa integrazione straordinaria. Una fine ingloriosa, per un’azienda che ha più di settant’anni di storia. Ma gli ultimi bilanci non hanno lasciato scampo: il 2016 si era chiuso con un passivo di 2,6 milioni di euro, l’anno successivo il rosso ha superato i 40 milioni di euro. Ieri, è arrivata la parola «fine».
La Raffineria Metalli Capra è arrivata al capolinea. La conferma arriva dalla sentenza di ieri, con la quale il Tribunale di Brescia ha dichiarato il fallimento della società con sede a Castel Mella, e con una succursale anche a Montirone. Giudice delegato è stata nominata Angelina Baldissera. I curatori sono Davide Felappi, Leandro Di Prata e Stefano Midolo: quest’ultimo era già incaricato come commissario giudiziale dopo che i giudici avevano accolto la domanda in bianco presentata dalla società per l’ammissione al concordato preventivo. Il verdetto è arrivato a poco meno di una settimana dal precedente pronunciamento del Tribunale: il 24 gennaio scorso, sulla base del parere non favorevole espresso dal commissario, aveva dichiarato inammissibile la richiesta di ammissione al concordato. Gli sviluppi addensano altre nubi sul futuro degli 82 dipendenti ancora in carico, tuttora alle prese con la Cassa integrazione straordinaria per crisi. E dire che le cose sembravano essersi messe sul binario giusto: poco prima di Natale, un vertice in Prefettura tra i sindacati, la proprietà e il prefetto, Annunziato Vardè, aveva fatto emergere alcune manifestazioni di interesse per rilevare la Metalli Capra, che però non si sono mai concretizzate in una vera offerta. Così come è saltata la trattativa con la Jordan Steel Work, soprattutto per motivi di carattere ambientale: troppo onerosi i costi per mettere in sicurezza la discarica di Capriano del Colle, contenente migliaia di tonnellate di scorie contaminate da Cesio 137. IL FALLIMENTO della Metalli Capra lascia quindi irrisolto il problema di chi si occuperà di risanare l’area, ma porta con sé anche nubi nere sul futuro degli 82 dipendenti rimasti: erano oltre 120 prima dell’inizio della crisi dell’azienda, cominciata circa quattro anni fa e determinata soprattutto dall’aumento del prezzo del rottame. Da quel momento, le cose sono andate sempre peggio: i dipendenti sono scesi prima a 97, poi ad 87, infine agli attuali 82 e tutti sono passati attraverso contratti di solidarietà e cassa integrazione straordinaria. Una fine ingloriosa, per un’azienda che ha più di settant’anni di storia. Ma gli ultimi bilanci non hanno lasciato scampo: il 2016 si era chiuso con un passivo di 2,6 milioni di euro, l’anno successivo il rosso ha superato i 40 milioni di euro. Ieri, è arrivata la parola «fine».
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